venerdì 21 ottobre 2011

Ismael

Cara Irene,
le luci di settembre mi hanno insegnato a ricordare i tuoi passi che svanivano nella marea. Sapevo già allora che la zampata dell'inverno non avrebbe tardato a cancellare il miraggio dell'ultima estate che trascorremmo insieme a Baia Azzurra. Ti sorprenderà scoprire quanto poco tutto sia cambiato da allora. La torre del faro si erge sempre come una sentinella nella bruma, e la strada che costeggia la Spiaggia dell'Inglese è ormai solo un pallido sentiero che si snoda verso il nulla tra la sabbia. Le rovine di Cravenmoore si intravedono oltre gli alberi del bosco, silenziose e avvolte in un manto di oscurità. Nelle sempre meno frequenti occasioni in cui mi avventuro al largo sulla barca a vela, posso ancora scorgere i vetri incrinati dei finestroni dell'ala ovest che brillano come fantasmagorici segnali nella nebbia. A volte, stregato dalla memoria di quei giorni in cui al cadere della sera solcavamo la baia di ritorno verso il porto, mi sembra di rivedere le luci che tremolano nell'oscurità. Ma so che ormai lassù non c'è nessuno. Nessuno. Ti chiederai cosa ne è stato della Casa del Capo. 
Ebbene, è sempre lì, isolata, a fronteggiare l'oceano infinito dalla sommità del capo. Lo scorso inverno un temporale ha demolito quel che restava del piccolo pontile sulla spiaggia.Un facoltoso gioielliere arrivato da qualche città senza nome era tentato di comprarla per una cifra irrisoria, ma i venti di ponente e l'impeto delle onde sulla scogliera si sono assunti il compito di dissuaderlo. Il salmastro ha fatto breccia nel legno bianco. 
 
Il viottolo segreto che conduceva alla laguna ora è una giungla impenetrabile, fitta di arbusti selvatici e di rami caduti. Qualche pomeriggio, quando il lavoro al molo me lo consente, prendo la bicicletta e vado fino al capo per contemplare il crepuscolo dalla veranda sospesa sulla scogliera: soltanto io e uno stormo di gabbiani che sembrano essersi aggiudicati il ruolo di nuovi inquilini senza passare da qualche notaio. Da lì si può ancora vedere la luna che disegna una ghirlanda d'argento verso la Grotta dei Pipistrelli mentre sale sull'orizzonte. Ricordo che una volta ti ho parlato di questa grotta e ti ho raccontato la favolosa leggenda di un sinistro pirata corso la cui nave ne è stata inghiottita in una notte del 1746. Ho mentito. Non c'è mai stato nessun contrabbandiere né bucaniere attaccabrighe che si sia avventurato nelle tenebre di quella grotta. In mia difesa posso dire che è stata l'unica bugia che hai sentito dalle mie labbra. Anche se, probabilmente, lo hai sospettato subito. Stamattina, mentre liberavo le reti impigliate nella scogliera, è successo un'altra volta. Per un attimo ho creduto di scorgerti sulla veranda della Casa del Capo, mentre guardavi in silenzio verso l'orizzonte, come ti piaceva fare. 
Quando i gabbiani si sono alzati in volo, ho visto che non c'era nessuno. Più oltre, cavalcando sulla nebbia, si ergeva Mont Saint-Michel, come un'isola fuggitiva arenata nella marea.
A volte penso che se ne sono andati tutti in qualche luogo lontano da Baia Azzurra e che io sono rimasto intrappolato nel tempo, sperando invano che la marea purpurea di settembre mi restituisca qualcosa di più dei ricordi. Non ci fare caso. Il mare ha questa capacità; restituisce tutto dopo un po' di tempo, specialmente i ricordi. Credo che, se conto questa, sono ormai cento le lettere che ti ho spedito all'ultimo tuo indirizzo di Parigi che sono riuscito a procurarmi. A volte mi chiedo se ne hai ricevuta qualcuna, se ti ricordi ancora di me e di quell'alba sulla Spiaggia dell'Inglese. Forse è così, o forse la vita ti ha portato lontano da qui, lontano da tutti i ricordi della guerra. La vita era molto più semplice allora, ricordi? Cosa dico? Certo che no. Comincio a pensare che sono soltanto io, povero stupido, a vivere ancora del ricordo di ciascuno di quei giorni del 1937, quando eri ancora qui, accanto a me...

dal libro Le luci di settembre di Carlos Ruiz Zafón

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