venerdì 21 ottobre 2011

Irene

Caro Ismael,
è passato molto tempo dall'ultima volta che ti ho scritto. Troppo. Alla fine, solo una settimana fa, è successo il miracolo. Tutte le lettere che in questi anni avevi spedito al mio vecchio indirizzo mi sono arrivate grazie alla bontà di una vicina, una povera anziana di novant'anni!, che le ha conservate per tutto questo tempo, sperando che un giorno qualcuno andasse a ritirarle. In questi giorni le ho lette, rilette e poi ancora rilette, fino a non poterne più. Le ho conservate come il più prezioso dei miei tesori. Le ragioni del mio silenzio, di questa lunga assenza, mi risultano difficili da spiegare. Specialmente a te, Ismael. Specialmente a te. Quei due ragazzi sulla spiaggia non immaginavano che, la mattina in cui l'ombra di Lazarus Jann si spense per sempre, un'ombra molto più terribile incombesse sul mondo. L'ombra dell'odio. Presumo che tutti abbiamo pensato a quelle parole riguardo a Daniel Hoffmann e al suo "lavoro" a Berlino. Quando, durante i terribili anni di guerra, ho perso i contatti con te, ti ho scritto centinaia di lettere che non sono mai arrivate da nessuna parte. Mi chiedo ancora dove si trovino, dove siano andate a finire tante parole, tante cose che avevo da dirti. 


Voglio che tu sappia che, durante quei terribili tempi di oscurità, il tuo ricordo, la memoria di quell'estate a Baia Azzurra, è stata la fiamma che mi ha tenuta in vita, la forza che mi ha aiutato a sopravvivere giorno dopo giorno. Saprai che Dorian si è arruolato e ha combattuto per due anni nell'Africa del Nord, da dove è tornato con un mucchio di assurde medaglie di latta e con una ferita che lo farà zoppicare per il resto dei suoi giorni. È stato uno dei fortunati. È tornato. Ti rallegrerà sapere che, alla fine, ha trovato lavoro nel dipartimento di cartografia della marina mercantile e che, nei momenti che la sua fidanzata Michelle (dovresti vederla...) gli lascia liberi, percorre il mondo da cima a fondo con il suo compasso. Di Simone, cosa ti posso raccontare? Invidio la sua forza e quella sua integrità che tante volte ci ha permesso di tirare avanti. Gli anni della guerra sono stati duri per lei, forse più che per noi. Non ne parla mai, ma a volte, quando la vedo silenziosa, accanto alla finestra, a guardare la gente che passa, mi chiedo quali siano i suoi pensieri. Non vuole più uscire di casa e trascorre le ore con l'unica compagnia di un libro. È come se fosse passata dall'altra parte di un ponte, dove non so come arrivare... A volte, la sorprendo a osservare vecchie foto di papà e a piangere in silenzio. 

Quanto a me, sto bene. Un mese fa ho lasciato l'ospedale di Saint-Bernard, dove ho lavorato in questi anni. Lo abbatteranno. Spero che, con il vecchio edificio, scompaiano anche tutti i ricordi delle sofferenze e dell'orrore a cui ho assistito nei giorni della guerra. Credo che nemmeno io sono più la stessa, Ismael. Qualcosa è successo dentro di me. Ho visto tante cose che non avrei mai immaginato potessero accadere... Ci sono ombre nel mondo, Ismael. Ombre molto peggiori di qualunque cosa contro la quale tu e io abbiamo combattuto quella notte a Cravenmoore. Ombre al cui paragone Daniel Hoffmann è solo un gioco da bambini. Ombre che provengono dall'interno di ognuno di noi. A volte mi rallegro del fatto che papà non sia qui a vederle. Ma penserai che sono diventata una nostalgica. Per nulla. Non appena letta la tua ultima lettera, ho sentito un tuffo al cuore. Era come se il sole fosse spuntato dopo dieci anni di giornate nere e piovose. Ho ripercorso la Spiaggia dell'Inglese, l'isola del faro, e ho solcato di nuovo la baia a bordo del Kyaneos. Ricorderò sempre quei giorni come i più meravigliosi della mia vita. Ti confesserò un segreto. Molte volte, nelle lunghe notti degli inverni di guerra, mentre gli spari e le urla risuonavano nel buio, lasciavo che i pensieri mi portassero ancora lì, accanto a te, al giorno che trascorremmo sull'isolotto del faro. Magari non fossimo mai andati via da lì. Magari quel giorno non fosse mai finito. Immagino che ti chiederai se mi sono sposata. La risposta è no. Non mi sono mancati pretendenti, non credere. Sono ancora una ragazza che ha un certo successo. Ci sono stati dei fidanzati. Meteore. I giorni di guerra erano molto duri da passare in solitudine, e io non sono forte quanto Simone. Ma niente di più. Ho imparato che a volte la solitudine è un sentiero che conduce alla pace. E per mesi non ho desiderato altro: pace. 

E questo è tutto. O nulla. Come spiegarti tutti i miei sentimenti, tutti i miei ricordi durante questi anni? Preferirei cancellarli d'un colpo. Vorrei che il mio ultimo ricordo fosse quell'alba sulla spiaggia e scoprire che tutto questo tempo non è stato altro che un lungo incubo. Vorrei essere di nuovo una ragazza di quindici anni e non capire il mondo che mi circonda, ma non è possibile. Non voglio più continuare a scrivere. Voglio che la prossima volta che parleremo sia faccia a faccia. Tra una settimana Simone andrà a passare un paio di mesi con sua sorella ad Aix-en-Provence. Quel giorno stesso tornerò alla stazione di Austerlitz e prenderò il treno per la Normandia, come dieci anni fa. So che mi aspetterai e so che ti riconoscerò tra la gente, come ti riconoscerei anche se fossero passati mille anni. Lo so da molto tempo. Un'eternità fa, nei peggiori giorni della guerra, ho fatto un sogno. Tornavo a camminare sulla Spiaggia dell'Inglese con te. Il sole tramontava e fra la bruma si scorgeva l'isolotto del faro. Tutto era come prima: la Casa del Capo, la baia... perfino le rovine di Cravenmoore oltre il bosco. Tutto tranne noi. Eravamo due vecchietti. Tu non ce la facevi più ad andare per mare e io avevo i capelli così bianchi che sembravano cenere. Ma eravamo insieme. Da quella notte ho saputo che un giorno, non importava quando, sarebbe giunto il nostro momento. 


Che in un luogo lontano le luci di settembre si sarebbero accese per noi e che, stavolta, non ci sarebbero più state ombre sulla nostra strada. 
 Stavolta sarebbe stato per sempre.

dal libro Le luci di settembre di Carlos Ruiz Zafón

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