di Simone Brescia
Se
il terrore avesse potuto adagiarsi su un volto, quello sarebbe stato
il suo. Emilia mi guardava a occhi sgranati, con la bocca incapace di
articolare parole compiute e il corpo squassato da brividi intensi.
Il
suo sguardo si spostava alternativamente dalla vittima sbranata ai
miei piedi alle mie fattezze mostruose. Ma non fu quello il peggio.
Il terrore potevo sopportarlo. Quello che non ressi fu il lampo di
riconoscimento che brillò nei suoi occhi. Mi girò la testa. Aveva
visto il mio tatuaggio; il nostro tatuaggio.
Due cuori intrecciati a spirale.
«Quel
tatuaggio! T-tu non – lei scosse la testa, come per scartare
l’ipotesi - non è possibile vero?» si scostò la maglietta,
mostrando il suo tatuaggio, appena sotto l’ombelico.
Chinai
la testa. Le lacrime le solcarono sulle guancie «E’
solo un incubo, vero? – si prese la testa fra le mani- Ora tornerò
a casa e mi sveglierò. Tu non puoi essere questo- mi indicò- tu non
puoi essere questa cosa!».
Nel
buio di quello scantinato, con i miei nuovi occhi felini, vidi il
volto di Emilia accendersi di pietà e di compassione. E’ curioso
come noi esseri umani investiamo buona parte del nostro tempo a
costruire maschere per proteggerci dai sentimenti altrui. Amiamo
fingere di essere felici, duri, incrollabili. Ma basta un attimo per
infrangere le nostre illusioni e per fare tabula rasa dei nostri
propositi.
Sotto
quello sguardo pieno d’amore per me sentii il mio cuore farsi in
tanti piccoli pezzi affilati. La voce gracchiante della strega
riecheggiò nella mia testa «Ora
sei un figlio del male. Ella sarà un degno sacrificio».
Mi
immaginai nell’atto di trafiggerla con le mie corna da capra. Feci
un passo verso di lei. Belai, pregustando il sapore della sua carne
tenera e fresca. «Sì
così –continuò la strega- lascia andare il tuo vecchio io ».
La
contemplai e una parte di me si raggelò all’istante. Emilia stava
sorridendo. Un sorriso
triste, ricolmo di rassegnazione e di pietà. Lei credeva in me.
«Perché,
ti fermi ora? – domandò la voce- è solo un sacrificio al nuovo te
stesso». Incombevo su Emilia «Federico?»
domandò lei. Avvicinai la mia mano di mostro alla sua mano di donna.
Lei non la ritrasse. Mi portai la sua mano al petto. Era il nostro
modo per dirci ti amo.
Mi
accarezzò «Anche
io ti amo! Ti prego non –singhiozzò- non voglio perderti!».
Sentii l’istinto della bestia lottare per riprendere il controllo.
Indicai a Emilia le scale. Lei si impietrì. Sapeva che quella
sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti. Mi abbracciò.
Era piccola e fragile, eppure si aggrappava a me con tutta sé
stessa.
Dimenticai
di essere un mostro, tornai a essere il Federico di sempre, quello
che prendeva il sole sui prati di Tiepole. La allontanai lentamente.
La vidi incamminarsi sulle scale, uscendo dallo scantinato in ombra.
«Sei
ancora in tempo! Puoi ancora farcela! Uccidila e sarai di nuovo
umano, te lo prometto!» bisbigliò la voce, ma la ignorai.
Emilia
si voltò una sola volta «Addio»
disse. Avessi potuto avrei sorriso, ora potevo andarmene da uomo.
Ero ancora in tempo.
«Cosa
pensi di fare? Non te lo permetterò!» gracchiò la strega. Frugai
fra le tasche della vittima, tirando fuori un accendino.
«Questo
non ti renderà umano!» continuò la voce. Tirai un calcio alle
bottiglie di whiskey, sentendole spaccarsi. Mi ricoprii d’alcool
con la zampa libera.
«Sei
solo uno scherzo della natura!» disse la voce. Accesi l’accendino.
Il mio ultimo pensiero, prima che il fuoco mi bruciasse vivo, fu “E
tu non sei altro che una miserabile vecchia”.
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