domenica 27 gennaio 2013

30 giorni di libri #02

Oggi ritorno con la rubrica 30 giorni di libri, iniziativa partita da facebook e poi diffusasi nei vari blog letterari. Io come sempre arrivo con il mio tempo (molto in ritardo), ma mi faceva piacere rispondere ai 30 quesiti, per cui eccoci qui con il secondo appuntamento. Per vedere come ho risposto alla prima domanda il link è il seguente: http://cluburbanfantasy.blogspot.it/2013/01/30-giorni-di-libri-01.html

2) La tua citazione preferita. 

La grande avventura della nostra vita. Che cosa significa morire quando si può vivere fino alla fine del mondo? E che cos'è la "fine del mondo", se non un modo di dire, perché chi sa anche soltanto cos'è il mondo stesso? Ormai ho già vissuto due secoli e ho visto le illusioni dell'uno completamente distrutte dall'altro, sono stato eternamente giovane ed eternamente vecchio, senza possedere illusioni, vivendo attimo per attimo come un orologio d'argento che batte nel vuoto: il quadrante dipinto, le lancette intagliate, che nessuno guarda, e che non guardano nessuno, illuminate da una luce che non era luce, come la luce alla quale Dio creò il mondo prima di aver creato la luce. Tic-tac, tic-tac, tic-tac, la precisione dell'orologio, in una stanza vasta come l'universo.

Quanti vampiri credi che abbiano la tempra per l'immortalità? Tanto per cominciare, molti hanno dell'immortalità una concezione estremamente squallida. Perché diventando immortali vogliono che tutte le forme della loro vita vengano fissate così come sono e rimangano incorruttibili: carrozze della stessa foggia immutata e affidabile, abiti col taglio che s'addiceva alla loro giovinezza, uomini che si abbigliano e parlano nel modo che hanno sempre capito e apprezzato. Quando, in realtà, tutte queste cose cambiano, tranne il vampiro stesso; ogni cosa, eccetto il vampiro, è soggetta a costante corruzione e alterazione. Presto, se si ha una mentalità rigida, e spesso anche quand'è elastica, l'immortalità diventa una detenzione in un manicomio di figure e di forme irrimediabilmente incomprensibili e prive di valore. Una sera un vampiro si alza e si rende conto di ciò che ha temuto forse per decenni; semplicemente che non vuol più saperne di vivere, a nessun costo. Che qualunque stile o modo o forma di esistenza che gli aveva reso piacevole l'immortalità è stato spazzato via dalla faccia della terra. E che non resta altra fuga dalla disperazione che l'atto di uccidere. E quel vampiro va a morire. Nessuno troverà i suoi resti. Nessuno saprà dov'è andato. E spesso nessuno di quelli che gli sono vicini --sempre che ancora cercasse la compagnia di altri vampiri --nessuno saprà che versa nella disperazione. Avrà cessato da molto tempo di parlare di se stesso o di qualunque altra cosa. Svanirà.

Questi erano i veri vampiri, non quelli di oggi che vanno a scuola, malgrado l'abbiano già finita secoli e secoli prima. La mia prima autrice preferita, Anne Rice, non potevo non mettere come citazione preferita, queste due tratte dal famosissimo "Intervista col Vampiro". Il romanzo racconta la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Infatti Louis in una stanza d'albergo racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue. Una vita non priva di dubbi e incertezze, un'immortalità che a lungo andare può essere pesante da sopportare. 

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