martedì 11 giugno 2013

10 Racconto: Contest "Una pagina per un libro"

di Enrico Arlandini

Ogni minimo particolare di quella maledetta giornata lo tormentava incessantemente, scavando un profondo solco tra la vita precedente e la vaga sembianza che ne era rimasta.
Sapeva quanto gli anziani potessero diventare brontoloni o addirittura perfidi, quando non riuscivano a venire a patti con l’oltraggio che la senilità opera sul corpo e sulla mente, arrivando a odiare chi nella giovinezza naviga radioso.
Mai avrebbe creduto che la malvagità potesse arrivare a tanto, senza alcuna motivazione plausibile.
Dall'iniziale sconcerto la sua bocca si era contratta in una smorfia preoccupata, quando la vecchia aveva incominciato a utilizzare un linguaggio composto di suoni gutturali, trasfigurata nei lineamenti. In quegli istanti non riuscì a ribattere, lo sguardo fisso sulle pupille dilatate della megera.
A un certo punto lei si afflosciò a terra, come un palloncino sgonfio.
L’interruzione del contatto visivo riportò Federico al controllo delle facoltà mentali, spingendolo ad allontanarsi con tutta la velocità che lo stato confusionale gli permetteva.
Ebbe il coraggio di voltarsi quando ormai era lontano; attribuì all'eccessiva distanza qualcosa che non poteva essere reale.
Marta Vasselli era inginocchiata a terra, le braccia piegate nel tentativo di rialzarsi.
Lo sforzo non era sufficiente a giustificare il notevole gonfiore che le tendeva l’epidermide, rilassandola quindi di colpo.
Esattamente lo stesso disturbo di cui iniziò a soffrire lui nei giorni successivi. Un mattino la madre corse alla porta del bagno, sentendolo urlare disperato.Federico rifiutò di aprire, steso a terra e coperto del suo stesso sangue, ferito a causa del pugno con cui aveva frantumato lo specchio. Trasportato d’urgenza al vicino ospedale, venne subito bendato, per evitare sguardi impietosi e disgustati.
Imbottito di sedativi manteneva un costante sguardo apatico, dritto verso un punto indefinito della parete di fronte.
All'inizio amici e conoscenti si recarono a fargli visita ma non ci volle molto prima che l’imbarazzo e la superstizione avessero la meglio. Rimasero così i soli genitori a condividere la disperazione di un ragazzo il cui involucro corporeo assomigliava a quello delle mummie estratte da antichi sarcofaghi.
Schiere di luminari dissertavano sulle possibili spiegazioni, giungendo all'ipotesi di una temibile malattia degenerativa ancora sconosciuta alla scienza.
Decisero di concedere un momento di lucidità al paziente, sperando che le sue parole potessero essere di aiuto nel dipanare la matassa. I genitori erano contrari, certi che questa soluzione avrebbe provocato al figlio ulteriori sofferenze e la piena consapevolezza della propria mostruosità.
Alla fine, dopo molte insistenze, cedettero.
Gli infermieri seguivano distrattamente le immagini sul monitor, che inquadrava il letto di Federico.
Attraverso le candide bende spiccavano gli occhi intelligenti, non più annacquati dal liquido anestetizzante.
L’ultimo pettegolezzo su una collega distrasse del tutto gli infermieri, che abbandonarono la postazione.
Nello stesso istante, quasi si fosse accorto di non essere controllato, Federico si sollevò con notevole sforzo.
Una volta seduto fissò l’apparecchiatura dalla quale fuoriuscivano dei tubicini, collegati al suo corpo tramite aghi sottili. Li strappò ad uno ad uno, senza emettere alcun gemito.
Un segnale di allarme perforò la stanza, facendo accorrere il personale ospedaliero.
Troppo tardi per rimediare, in tempo per veder scivolare una lacrima lungo le bende che ricoprivano il volto di Federico.

2 commenti:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...