3° CAPITOLO
RISVEGLIO
Finalmente i miei occhi si spalancarono, ma quello che videro non fu quello che mi sarei aspettata. Non stavo più in piedi nella cucina di casa mia, col bicchiere di acqua in mano, terrorizzata davanti a uno strano uomo che mi parlava dicendo cose senza senso. Mi trovavo invece distesa su di un lettino, con indosso un camice ospedaliero, al polso attaccate varie flebo, ero chiaramente in ospedale. Ma in un certo senso fui rassicurata da questa cosa, pensai di aver sbattuto forte la testa per immaginarmi tutte quelle assurdità.
All'improvviso dalla porta della mia stanza entrò un dottore, abbastanza giovane dall'aspetto piacente, non troppo alto, ma con le spalle larghe e una muscolatura rifinita visibile anche da sopra il camice bianco, che disse «Bene Signorina Mikaela sono contento che si sia finalmente risvegliata. Forse in questo momento si sentirà al quanto disorientata, ma cercherò di spiegarle perché si trova in un letto di ospedale. Vede ha avuto un incidente con la sua auto. Purtroppo ha tamponato violentemente un'altra vettura che sopragiungeva dalla corsia opposta, forse un colpo di sonno involontario. Per fortuna l'altro conducente non si è fatto nulla. Non si sforzi troppo cercando di ricordare cosa sia avvenuto precisamente, in questi casi il trauma dell'incidente ha potuto rimuovere i ricordi dell'avvenimento. Era in gravi condizioni quando l'ambulanza l'ha portata immediatamente qui al pronto soccorso, aveva perso molto sangue, ma per fortuna siamo riusciti a fermare l'emorragia e ad operarla. E dopo alcuni giorni, ecco che finalmente si è risvegliata.»
Cercai di concentrarmi per ricordare l'accaduto, ma non vi riuscii «Si effettivamente ho un vuoto di memoria per quanto riguarda l'incidente, e stranamente mentre dormivo ho fatto strani sogni. Grazie per quello che ha fatto per me dottore, le sono grata di avermi salvato la vita. Posso sapere il suo nome, visto che lei già conosce il mio.» Il medico mi rispose molto cortesemente, la cui cosa me lo rendeva ancora più affascinante «Certamente, mi chiamo Carl, ed è un piacere per me fare la sua conoscenza Mikaela. Oh bene le ho strappato un sorriso, il primo dal suo risveglio. Si starà forse chiedendo come mai so il suo nome, sul luogo dell'incidente, nella sua auto è stata ritrovata la sua borsetta con la sua carta di identità. Deve però sapere che la sua guarigione non è tutta merito mio, non sono un tipo particolarmente religioso, ma le sue condizioni erano veramente pessime per giunta è anche andata in arresto cardiaco. Si ritenga per ciò molto fortunata per essere ancora qui con noi in questo mondo. Qualcuno lassù voleva che lei vivesse, le mie mani hanno solo fatto il resto. Ora pensi solamente a riposare e a riprendersi, al resto ci pensiamo noi.»
Feci un cenno di assenso col capo sorridendogli, mentre il dott. Carl senza proferire altre parole iniziò a controllare le mie funzioni vitali sul monitor del computer posto accanto al letto. Dopo di che si apprestò ad annotare qualcosa sulla mia cartella clinica ai piedi del mio letto. Mentre l'uomo faceva ciò, pensai alla mia auto, oh merda ero rovinata. Senza macchina e con un'assicurazione ora altissima da pagare per via dell'incidente, come sarei potuta più andare a lavorare? Assorta nei miei pensieri, non mi accorsi dell'uscita di Carl dalla mia stanza, non senza prima avermi salutata amichevolmente.
Un altro pensiero mi tornò in mente, l'uomo della mia visione, che mi aveva spaventata nella mia cucina, ora che non mi incuteva più paura dovevo ammettere di aver immaginato proprio un bell'uomo. Ma era stato solo un sogno per fortuna, uno stupidissimo sogno, niente di più.
Il dottore non aveva menzionato nulla sul fatto che non potessi alzarmi, avevo proprio bisogno di andare un attimo in bagno per darmi una rinfrescata al mio viso. Staccai momentaneamente i fili che mi collegano al monitor controllato poco prima dal medico. Pian piano mi misi seduta sul letto, nell'alzarmi la testa iniziò a girarmi vorticosamente, non era facile dopo essere stati per tanto tempo a letto. Inoltre il mio corpo era ancora abbastanza provato dall'incidente, per fortuna poco dopo il giramento di testa si attenuò. Misi il primo piede nudo sul pavimento freddo, mi alzai in piedi barcollai un po', il bagno era poco distante dal letto, mi tenei stretta al palo porta flebo e con esso mi dirigei nella sua direzione. Il bagno era piccolo senza nessuna finestra o fessura, accendo la luce per vedere meglio il luogo in cui mi trovavo, era abbastanza pulito non mi potei lamentare. Davanti al lavello aprii il rubinetto dell'acqua fredda, questa iniziò a sgorgare velocemente mentre le mie mani a conca cercavano di prenderne il più possibile.
Avvicinai le mani con l'acqua al viso abbassato verso il lavello, un senso di freschezza mi attraversò i pori della pelle. Velocemente ritirai il volto in alto e mi guardai allo specchio, certo che avevo proprio una brutta cera. Ero pallidissima, ma non mi importava l'importante che fossi ancora viva. Mentre ero intenta a specchiarmi, sentii uno strano prurito al braccio sinistro, feci per alzare un po' la manica per vedere di cosa si trattasse e scoprii una strana voglia. Peccato che non avevo mai avuto voglie in quel punto. Non era solo una voglia, ma qualcosa di più, uno strano simbolo, apparentemente sembrava avere la forma di una stella a sei punte. Paradossalmente si trovava nello stesso punto in cui quel tizio del mio sogno vi aveva posto il palmo della sua mano. Ma non era possibile, quello era solo un sogno dovevo essermi procurata questa cicatrice a causa dell'incidente in qualche modo, questa era l'unica possibilità concreta e reale. Lo ripetei nella mia mente per convincermene.
Mi rimisi a letto, sarebbe stato meglio non pensare a niente e concentrarmi sulla mia guarigione una bella dormita non avrebbe potuto che farmi bene. Quando riaprii gli occhi dal mio sonnellino notai un giornale posto ai piedi del mio letto, con un bigliettino sopra:
Un semplice gesto carino o qualcosa di più? In quel momento avevo altro di cui preoccuparmi. Presi in mano il quotidiano e iniziai a sfogliarlo. In prima pagina le solite notizie: un poliziotto aveva ucciso sua moglie perché voleva lasciarlo e portargli via i figli. Ormai queste notizie si susseguivano in continuazione: mariti che facevano fuori le mogli e l'inverso o figli che se la prendevano con i genitori e viceversa, sembrava che il mondo stesse andando sempre più a rotoli o forse era solo una mia impressione. All'interno del giornale oltre alle notizie più importanti notai un piccolo articoletto che riportava di un incidente avvenuto in città, in una superstrada poco fuori dalla zona abitata:
Lo scontro ha coinvolto due auto, sembra che il conducente della prima auto, una donna di nome M.D., che ritornava dal lavoro al pub poco distante, abbia avuto un colpo di sonno andando a scontrarsi con la macchina che proveniva dalla corsia opposta. L'uomo al volante della seconda auto, F.G., sembra non aver riportato nessuna lesione fisica, a parte l'auto distrutta nello scontro. A riportare la peggio è stata la donna che al momento si trova ricoverata all'ospedale San Raphael, nel reparto di cure intensive.
L'articolo parlava chiaramente di me, una donna di nome M.D. Mikaela Dennis. Portavo lo stesso cognome della suora che mi trovò quella notte all'orfanotrofio quando mia madre mi abbandonò, io ne andavo fiera perché era stata la mia salvatrice. Le informazioni che dava l'articolo erano chiare, la strada era quella che facevo ogni notte per tornare a casa dal lavoro. Oh no ora che ci pensavo, come stavo leggendo io quelle righe, molto probabilmente l'avrebbero lette anche il mio datore di lavoro, le mie colleghe e Ralf il barista, si sarebbero tutti preoccupando per me. E dire che Anna mi aveva avvertita di fare attenzione e anche Ralf si era offerto di riaccompagnarmi a casa, ma io stupidamente avevo rifiutato. Ora me l'avrebbe rinfacciato per tutta la vita, oltre al fatto che sarebbe stato mille volte più protettivo nei miei confronti di quanto non lo fosse già. Avrei dovuto sopportare tutto questo senza lamentarmi, malgrado tutto mi ero affezionata a quelle persone, forse gli volevo bene in un certo senso, anche se non ero brava con le emozioni. Non mi ero mai innamorata, ne tanto meno avevo avuto degli amici fissi con cui frequentarmi, ero sempre stata uno spirito libero.
Dovevo cercare un telefono qui in ospedale e fare una chiamata per avvertirli che andava tutto bene, ero ancora viva e vegeta ma non sarei andata a lavorare per un po'. Forse mi sarei presa una settimana di malattia, dopotutto me lo meritavo dopo essere quasi morta. Cosi decisi di alzarmi per andare verso il corridoio, arrivata davanti alla porta socchiusa sentii un tizio parlare con l'infermiera della reception di quel piano, sembrava avere un tono di voce agitato. «Salve cerco una vostra paziente ricoverata in questo piano, mi chiamo Donald Dennis, sono il fratello di Mikaela Dennis e vorrei vederla. Ho saputo dal giornale dell'incidente, immagino che lei non abbia ancora avuto tempo di contattarmi telefonicamente, cosi ho deciso di venire qua di presenza per accertarmi delle sue condizioni di salute. Può dirmi in che stanza si trova?»
«Certamente signor Donald Dennis, un attimo che controllo nel registro dei ricoveri e gli dico in che stanza si trova sua sorella.»
Cavolo cosa voleva questo tizio da me? Io non avevo fratelli questo era sicuro, ne tanto meno uno che si chiamasse Donald. Non so cosa voleva, ma non sarei stata certo qua ad aspettare di scoprirlo, poteva benissimo essere qualcuno che aveva qualche conto in sospeso col locale in cui lavoravo. Ritornai velocemente verso il mio letto, mettendo i cuscini sotto le coperte in modo da sembrare che stessi ancora dormendo. Furtivamente uscii fuori dalla mia stanza verso quella di fronte, mentre il tizio alla reception stava ancora discutendo con l'infermiera. Non ci sarebbe voluto molto perché l'uomo si accorgesse del tranello e mi cercasse per tutto l'ospedale. Nella stanza in cui mi trovavo adesso la degente doveva essere andata a fare una passeggiata perché al momento si trovava vuota, sul letto varie riviste e una vestaglia. Dovevo riflettere velocemente su cosa fare, non potevo andarmene da qua vestita col camice dell'ospedale. Aprii l'anta dell'armadio posta di fronte al letto nella stanza, per fortuna trovai dei vestiti, non erano della mia taglia ma mi sarebbero andati comunque bene.
Iniziai ad indossare vorticosamente un paio di jeans un po' stretti e una maglia particolarmente lunga, dopo di che presi una giacca a vento e la misi su. Sul comodino notai un paio di occhiali da sole, li presi in mano e li indossai poco dopo, mi sarebbero stati utili per non essere notata dagli infermieri. L'unico modo per uscire di li era passare proprio dalla reception per dirigersi verso le scale e scendere al piano terra, questo voleva dire che sarei dovuta passare davanti all'infermiera e forse anche al tizio senza dare nell'occhio. Uscii dalla stanza facendo finta di nulla e mi incamminai nel lungo corridoio, gli occhiali oscurati mi permettevano di guardarmi in giro senza che nessuno se ne accorgesse. Mi passò accanto in direzione opposta un'altra paziente ricoverata, questa mi superò ed entrò nella sua stanza.
Riuscii a proseguire e a svoltare l'angolo verso le scale, con la coda dell'occhio notai l'uomo che salutava l'infermiera e si dirigeva verso la mia camera. Dovevo muovermi, scesi velocemente le scale nel farlo sentii un urlo e una imprecazione provenire dal piano dove mi trovavo poco fa. «Dannazione, porca puttana è scappata.» sentii dire all'uomo che si spacciava per mio fratello.
Ero fuori l'Ospedale San Raphael mi nascosi dietro un'aiuola poco distante dal portone di entrata, prima di andare sarebbe stato meglio osservare cosa succedeva. Dovevo capire perché quell'uomo stava cercando proprio me, notai altri due uomini fisicamente molto massicci quasi da sembrare dei buttafuori di qualche discoteca. A questi due tizi si unì, correndo velocemente verso di loro, il primo uomo. Si guardarono intorno, ma non videro nessuno. Si scambiarono allora qualche parola, dopo di che si diressero verso la loro auto, una macchina nera con i finestrini oscurati. Se ne andarono misteriosamente cosi come erano arrivati.
di Angela Visalli