martedì 21 febbraio 2012

2°Capitolo: COMPITO

CAPITOLO
COMPITO

   Dove mi trovavo? Non sentivo più tutto quel dolore che mi attanagliava un attimo fa, provai a toccarmi, ma era come se non avessi nessuna consistenza fisica.. Spalancai gli occhi a fatica tutto intorno a me era luce, provai uno strano senso di disorientamento. Forse tutto quello che avevo appena vissuto: l'incidente, la corsa all'ospedale, la mia visione di me sdraiata su quel lettino, forse tutto ciò era stato solo un brutto incubo, tra un po' mi sarei svegliata come se nulla fosse mai accaduto. Mentre aspettavo il risveglio cominciai a incamminarmi in quello che sembrava uno strano tunnel, la luce si faceva sempre più intensa, quasi accecante, man mano che andavo più in là. Alla fine mi ritrovai avvolta nella luce, ma mi sbagliavo non era luce quella che percepivo intorno a me, ma un senso estremo di benessere, come se niente ti potesse più toccare o far del male, il bene assoluto.

   Mi svegliai di soprassalto ero a casa mia sdraiata sul mio divano color porpora comprato da poco, era come credevo tutto un sogno, uno strano bruttissimo sogno, non mi capitava spesso di fare quest'incubi era proprio strano. Però  avevo un vuoto di memoria non ricordavo esattamente come avessi fatto ad arrivare a casa, forse colpa del risveglio improvviso. A casa era tutto come l'avevo lasciato il pomeriggio prima di dirigermi a lavoro, il divano, il piccolo tavolino davanti, comodo per appoggiarvici i piedi. Nessuna fotografia in giro per la stanza: non ne avevo nè dei miei genitori non avendoli conosciuti, nè di me da piccola, per cui avevo deciso di abolire anche quelle da adulta. Una casa anonima pensai tra me e me, solo lo stretto indispensabile per vivere niente di più. Ero ancora un po' rintronata dal sonno quando mi accorsi che la TV era accesa, dovevo essermi addormentata mentre guardavo qualche programma. Presi il telecomando appoggiato proprio davanti a me sul tavolino e cercai il pulsante per spegnerla.
   Ecco anche questa era fatta, ma all'improvviso dalla televisione appena spenta iniziarono a fluire delle immagini poco chiare. Strano che si fosse riaccesa da sola, sarà stato qualche contatto o erroneamente avevo premuto per riaccenderla, cercai di spegnerla nuovamente, ma niente non ne voleva sapere. Le immagini si fecero sempre più nitide, si poteva intravedere una donna incinta in procinto di partorire mentre si trovava a gambe divaricate sul lettino di un ospedale, mentre davanti a lei un dottore cercava di aiutarla nel suo compito, naturale per una donna, di dare alla luce la sua creatura.
   «Forza Signora ci siamo quasi, un ultimo sforzo e dopo si potrà riposare quanto vuole. Ma adesso si concentri sul suo compito spingere il più forte possibile. Forza spinga...» Il medico appariva parecchio sudato e provato, ma non quanto lo fosse la donna sdraiata sul lettino. «Ce la sto mettendo tutta, ci provo ma cavolo non mi avevano detto che facesse cosi male.» disse la donna urlando per la rabbia e il dolore.
«Appena vedrà suo figlio o sua figlia non farà più caso al dolore, forza spinga ancora. Ecco bene inizio già a vedere la testa, manca pochissimo spinga nuovamente.» Ella mise in atto ogni singolo muscolo che possedeva e il suo viso divenne completamente paonazzo. «Ecco ci siamo..» dalle mani del dottore si iniziò a intravedere una piccola creaturina, che faceva il suo ingresso in questo mondo, il medico la tirò fuori delicatamente dopo di che tagliò il cordone ombelicale. Con una piccola pacca sul sedere del neonato si accertò che tutto procedesse bene e che respirasse in modo corretto. Dopo di che appoggiò il piccolo sul grembo della madre, visibilmente sfinita per gli sforzi appena compiuti, ma allo stesso tempo sollevata nel vedere quella piccolo esserino respirare. Il medico allora disse «Complimenti Signora è una stupenda femminuccia sa già che nome dargli?» e la donna senza alcuna esitazione rispose immediatamente «Mikaela, il suo nome sarà Mikaela.»
Appena udì queste parola un tuffo al cuore mi colpii immediatamente, era una cosa stranissima quella bambina che avevo appena visto nascere, si chiamava proprio come me. Cosi come apparvero queste prime immagini, delle altre iniziarono a farsi largo, come le prime all'inizio indistinte poi sempre più messe a fuoco. Dalle immagini provenienti dalla mia TV si poteva chiaramente distinguere la stessa donna di prima, estremamente scossa e preoccupata, mentre camminava in modo alquanto veloce con la stessa bambina della visione precedente. L'unica differenza ora stava nel fatto che la bambina in questa visione poteva avere all'incirca un anno, se i miei calcoli visivi erano corretti. La donna continuava a camminare guardandosi dietro, come se si aspettasse di essere seguita da una qualche presenza, ma dietro di lei non si riusciva a intravedere nulla di preoccupante.
   All'improvviso nella visione la donna si fermò davanti a quello che sembrava poter essere un orfanotrofio, lasciando la bimba sull'uscio della porta d'ingresso e controllando un'ultima volta che nessuno la stesse seguendo o stesse assistendo a quella scena. Dopo di che si apprestava a suonare il campanello e a fuggire via velocemente ma non troppo distante da dove aveva lasciato la piccola. Si nasconde infatti dietro un'aiuola per non farsi vedere da chi poco dopo aprì la porta. La porta appunto si spalancò e vi apparve una suora, abbastanza giovane sulla trentina snella e alta. All'inizio non si accorse della bambina, occupata a cercare di guardarsi in giro per capire chi aveva suonato il campanello. Ma appena la piccola iniziò ad accennare un piccolo pianto, vedendosi li sola e smarrita, la suora rivolge immediatamente il suo sguardo più in basso e subito prese in braccio quella bellissima bambina.
   «Oh piccola cosa ci fai qui tutta sola? Dove sta la tua mamma?» La suora mosse il capo da una parte all'altra del vicoletto poco distante dalla porta dell'orfanotrofio, ma non notò nessuna presenza adulta nei dintorni. Dopo di che disse «Beh piccola oggi non deve essere il tuo giorno fortunato, sembra che ti abbiano lasciato qui. Ma non ti preoccupare non tutto il male viene per nuocere, vedrai che ti troverai bene qui con noi.» La bambina fece incoscientemente un cenno della testa, quasi a voler confermare quello che la suora aveva appena detto. Quindi rivolgendosi nuovamente alla piccola, con tono tenero e dolce, la suora disse infine «Si lo so piccola che ancora non puoi comprendere tutto ciò, ma un giorno capirai.» Nel dire ciò notò dalla tasca del vestitino della bambina fuoriuscire un piccolo pezzo di carta, avvolto in una corona del rosario, in quel fogliettino ripiegato maldestramente vi era scritto testuali parole: IL MIO NOME E' MIKAELA.


   Quella suora della visione mi rievocò ricordi della mia infanzia, era la stessa suora che mi aveva visto crescere solamente un po' più giovane di come me la ricordassi. Dopo di che la visione svanì velocemente proprio come era apparsa, e il televisore tornò a mostrare un brusio grigio indistinto. Non c'erano ormai dubbi quella bambina che avevo visto nascere e dopo essere portata all'orfanotrofio dovevo essere per forza io, anche se la cosa mi lasciava sconvolta. Come vi dicevo avevo sempre avuto la certezza irrazionale, visto che non l'avevo mai conosciuta, che mia madre fosse una brava persona. Nonostante ciò non riuscivo a non odiarla, credevo che non ci potesse essere ragione al mondo sufficiente a permetterti di abbandonare tua figlia o tuo figlio in un orfanotrofio in mezzo a gente sconosciuta. Anche per questo non avevo mai provato a cercare di rintracciarla in qualsiasi modo, e dal canto suo neanche lei si era mai fatta viva con me.
Certo a volte fantasticavo su come potesse essere fisicamente, questo soprattutto quando ero più piccola, ma dopo un po' ti ci fai l'abitudine ad avere questo fantasma senza un volto dentro di te che ti perseguita. Ma ora quel fantasma aveva un volto, anche se non riuscivo ancora a rendermene perfettamente conto, la cosa paradossalmente non mi dispiaceva.
   A queste due scene appena viste, seguirono delle altre di me stessa più adulta, alla fine apparve la scena dell'incidente con l'auto, quello che pensavo fosse stato solo un brutto sogno. Era tutto cosi complicato, non riuscivo più a capire cosa fosse reale e cosa invece non lo fosse. Alla fine dalla TV non provenne più nessuna immagine, forse era stato tutto solamente frutto della mia immaginazione, e della mia coscienza che iniziava a farsi sentire dopo anni in cui l'avevo tenuta rinchiusa.
   Per tranquillizzarmi andai in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, una sorsata di acqua fresca e starò meglio. Presi un bicchiere dal mobiletto sopra il lavello e aprii il rubinetto riempiendolo di acqua, iniziai a sorseggiarla lentamente. Ora mi sentivo molto più tranquilla, ma quando mi girai lentamente su me stessa quasi svenni da ciò che mi si parava davanti, la mano iniziò a tremarmi e per poco non feci cadere a terra il bicchiere con l'acqua. Un uomo bellissimo nell'aspetto, quasi perfetto direi, ma non per questo rassicurante si trovava proprio davanti a me nella cucina di casa mia. Mi portai l'altra mano libera davanti alla bocca per lo chock, il panico mi impediva di urlare a squarcia gola.
   «Non avere paura di me non voglio farti del male, sono qui per parlarti puoi stare tranquilla.» mi informò l'uomo, ma la cosa non mi rassicurò «Come faccio ad essere tranquilla? Non ti conosco, non ti ho mai visto e ti ritrovo improvvisamente in casa mia. Come hai fatto ad entrare? Vabbé non dirmelo non mi importa, devi solo prendere ed andartene immediatamente se non vuoi che chiami la polizia e ti faccia arrestare per violazione di domicilio.» L'uomo non sembrò per nulla preoccupato della mia minaccia e continuò a parlare «Non ti sembra strano quello che hai appena visto di là in soggiorno davanti alla televisione? Quello che hai appena visto è quello che noi chiamiamo in gergo “flusso dei ricordi»
   Prima di parlare cercai di focalizzare il mio sguardo sull'uomo che mi stava davanti, sicuramente non era un barbone che si trovava li per caso. Anzi era vestito elegantemente con un completo bianco di giacca, pantaloni e cravatta quasi fossero appena usciti dalla lavanderia puliti e stirati alla perfezione. Ma non era un punto a suo favore, chi è che sarebbe andato in giro vestito interamente di bianco dalla giacca fino alle scarpe? Almeno che non fosse invitato a qualche matrimonio, credo proprio nessuno, sicuramente non uno che per caso si ritrovi nella mia cucina. Fisicamente non sembrava un tipo dall'aria minacciosa, come certi omoni enormi, era di corporatura esile slanciata e molto alto. Come avevo notato all'inizio il suo aspetto era qualcosa di meraviglioso, capelli di un nero lucente ed occhi di un colore indistinto un insieme di grigio-azzurro-verde, a seconda di come la luce li colpiva.
   Ma tutto ciò non mi rendeva più tranquilla, da quanto ne sapevo poteva benissimo anche essere un pazzo maniaco o un serial killer, se ne sentivano tante oggi giorno nei giornali. Per cui cercai di mantenermi sulla difensiva «Come fai a sapere quello che ho appena visto di la? Mi hai per caso drogata? Quello di prima era un qualche sogno ad occhi aperti allucinogeno non è forse vero? Cosa hai intenzione di farmi? Guarda che non starò ferma immobile ad assecondarti, è bene che tu sappia che sono cintura nera e sono ben addestrata alla difesa personale.» Quello che avevo appena detto non erano delle bugie per cercare di spaventarlo, ero veramente cintura nera e mi piaceva molto allenarmi, anche se preferivo la non violenza. Ma se ne fosse stato necessario avrei agito di conseguenza.
   «Non ci siamo, ora cercherò di spiegarti tutto in termini che la tua mente umana possa capire. Quello che stai vivendo in questo momento è tutto reale, certo non nei termini che hai conosciuto fin ora.» La cosa si faceva sempre più strana, «Perché continui a riferirti a me dicendo voi umani, tu non saresti umano? E secondo te cosa starei vivendo in questo momento?» Questo tizio doveva essere uscito da qualche manicomio o qualcosa del genere, non ci stava proprio con il cervello credeva di essere qualche creatura soprannaturale o cosa? Dovevo forse assecondare la sua pazzia?
   «Beh in questo momento tu stai vivendo quello che gli umani chiamano Pre-morte, io preferisco semplicemente chiamarla Seconda Chance. E per quanto riguarda invece la prima domanda no non sono umano, sono qualcos'altro.»
   «Tu devi essere pazzo, morte? Seconda chance? Quindi secondo te io sarei morta e come è possibile se mi trovo qui davanti a te.» Anche se continuavo a ritenerlo un pazzo, c'erano cose che non tornavo delle mie ultime ore vissute, intanto come ero tornata a casa dal lavoro e poi quelle strane immagini comparse all'improvviso sul televisore spento e l'incidente con la macchina era avvenuto veramente? Ero veramente morta?
   L'uomo in bianco in un certo senso mi tranquillizzò informandomi «Tecnicamente beh ancora non sei del tutto morta non completamente, appunto per questo la chiamo seconda chance, viene concessa solo a persone che devono ancora compiere un certo compito nella loro vita. Devi ammettere che la tua vita fin ora non è stata delle migliori. Insomma non puoi certo essere annoverata tra quelle che voi umani chiamate sante, non che ti si chieda ora di diventarlo tutto in un botto. Ci sarà un cammino da fare se lo vorrai.»
   «Non vedo come fai a sapere della mia vita, e come osi giudicarla, saranno cavoli miei quello che faccio o non faccio.» risposi in preda alla rabbia, ora ero stufa davvero. «Guarda fosse stato per me ti avrei risparmiato tutto questo e ti avrei fatto andare dove ti spetterebbe di diritto trovarti. Ma purtroppo piccola i miei superiori mi hanno dato questi ordini e devo rispettarli quindi vedi di non farmi perdere altro tempo.» allucinante era stizzito quando lo sarei dovuta essere io e non lui.
   «Ok spiega sentiamo le tue storielle assurde, dopo di che farai bene ad andartene.»
   «Bene vedo che ce ne vuole con te per tenerti a bada bellezza. Inizio col presentarmi, scusa la mia maleducazione se non l'ho fatto prima, ma non mi hai dato neanche il tempo di respirare. Scherzo mi chiamo Geniel, il mio nome significa “Portatore di avvenire” ed è proprio lo scopo della mia visita, del mio trovarmi qui di fronte a te. Su chi sono preferisco che tu lo scopra da te, ti sarà più facile dopo capire. Devo avvertirti che sei in serio pericolo, dopo il nostro incontro ti cercheranno e non tutti sono considerevoli nei tuoi riguardi come lo siamo noi.»
   «Perché dovrei essere in serio pericolo? l'unico pericolo che io vedo sei tu qua in casa mia.» Ed era vero, iniziavo ad avere un po' paura di quell'uomo. «Devi sapere che il mondo non è come lo conosci tu il male si fa sempre più largo nelle vostre fila e tu sei l'unica a poter impedire tutto ciò. Lo so che ti sembrerà assurdo, e penserai anche come mai proprio io, ma capirai tutto col tempo. Ora devo andare ma ci rivedremo presto stanne certa.»
   Detto ciò l'uomo si avvicinò lentamente verso di me, cercai di allontanarmi ma ero come bloccata in quella posizione immobile davanti allo sconosciuto di nome Geniel, sempre se quello fosse stato veramente il suo nome. Allungò la sua mano e la appoggiò sul mio avambraccio, in quell'attimo di contatto sentì come un intenso calore provenire dal suo palmo e irradiarsi tutto intorno al punto del mio corpo che stava toccando. Istintivamente chiusi gli occhi, tutto dovevo fare tranne che abbassare in quel modo la guardia ma era più forte di me. Era come se mi stesse in qualche modo marcando a fuoco, ma non era qualcosa per cui potessi dire di provare dolore, era più una sensazione piacevole come se quell'uomo stesse disegnando in modo impercettibile un simbolo, uno stemma sul mio braccio. Disse anche delle parole, ma non furono le mie orecchie ad udirle, quella frase risuonò dentro la mia testa come se mi stesse parlando telepaticamente. Esse dicevano: questo è il tuo compito.
   Dopo di che non sentì più nulla, i miei occhi continuarono a rimanere chiusi malgrado mi sforzassi di aprirli, tutto intorno a me era buio, solo buio.


di Angela Visalli

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